Videogiochi e terapia: dallo stetoscopio al joystick?

Francia, 14 giugno 2023: alcuni bambini in un ospedale di Parigi sorridono divertiti mentre giocano una partita davanti alla TV, muniti di alcuni controller collegati alla console per videogiochi.

Si tratta di alcuni giovanissimi pazienti della struttura che hanno preso parte a un evento organizzato da Tencent, colosso cinese dell’industria videoludica e da Premiers de Cordée, un’associazione che ha come obiettivo quello di aiutare i bambini ospedalizzati o disabili mediante lo sport. È una delle tante iniziative che ha come oggetto il binomio videogiochi e terapia.

In questo articolo proveremo infatti a capire se quello dei videogiochi utilizzati come strumento curativo, sia destinato a diventare un caso sempre meno isolato e quali benefici può comportare per la salute, un passatempo che molto spesso viene considerato tutt’altro che salutare.

Videogiochi e terapia: l’appello dell’OMS durante il lockdown

Se, da un lato, parlare di videogames, terapia e benefici per la salute fisica e mentale può suonare ancora decisamente insolito, dall’altro sarebbe utile prestare attenzione a un caso recente che potrebbe rivelarsi particolarmente significativo in questo contesto.

Ad aprile 2020, in pieno lockdown, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva lanciato un appello o, meglio, una campagna di sensibilizzazione: #PlayApartTogether.

Tale iniziativa mirava a proporre i videogiochi multiplayer online come strumento per prevenire le conseguenze dell’isolamento sociale reso necessario dall’emergenza pandemica.

In questa categoria rientrano, in sostanza, molti dei titoli con un vastissimo seguito di pubblico: la serie Call of Duty, Fortnite, la saga calcistica FIFA (ribattezzata ora EA Sports FC) e Roblox, solo per fare i nomi di alcuni dei più popolari.

L’OMS, dunque, evidenziava in quell’occasione come i videogames fossero in grado di mettere in comunicazione persone fisicamente distanti tra loro e permettere alle stesse di vivere insieme esperienze interattive e stimolanti.

Marco Iosa, professore di psicologia presso l’Università Sapienza e ricercatore della Fondazione Irccs Santa Lucia di Roma, oltre agli aspetti sociali appena accennati, ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Messaggero lo scorso anno che la letteratura scientifica farebbe ben sperare in merito a ciò e alle potenziali applicazioni terapeutiche dei videogiochi, spaziando dalle patologie motorie a quelle dello spettro autistico.

Bambino che gioca con videogiochi

Che effetti hanno i videogiochi sul cervello?

Nello specifico, alcuni videogiochi, secondo quanto affermato in uno studio del 2013 a opera dei ricercatori della Queen Mary University di Londra, sarebbero in grado di stimolare il cervello.

In base a quanto emerso, i titoli strategici (come quelli di celebri serie videoludiche quali Age of Empires, Gears Tactics e Starcraft), favoriscono lo sviluppo della flessibilità cognitiva; una facoltà che rende possibile l’adattarsi a situazioni differenti e gestire in simultanea vari compiti.

I videogiochi d’azione (come quelli delle saghe di God of War e Assassin’s Creed), invece, possono potenziare la facoltà di operare decisioni in tempi brevi.

Un altro studio, risalente al 2017 e condotto da alcuni ricercatori della Gregory West University di Montréal ha perfino evidenziato il fatto che si sono verificati accrescimenti del volume della materia grigia (nelle regioni dell’ippocampo e del cervelletto) negli individui di età compresa tra 55 e 75 anni che hanno giocato con regolarità videogiochi platform (ad esempio quelli delle saghe di Super Mario, Sonic e Crash Bandicoot) per diversi mesi.

Ciò perché, semplificando, l’Ippocampo mentre il giocatore esplora lo spazio 3D riprodotto in questi giochi, elabora costantemente rappresentazioni di quest’ultimo permettendo a chi gioca di orientarsi e avanzare nei vari livelli.

Cervelletto e ippocampo sono, rispettivamente, deputati al mantenimento dell’equilibrio, al controllo motorio, alla memoria episodica e a quella spaziale.

Facoltà soggette a progressivo deterioramento con l’avanzare dell’età e, proprio per queste ragioni, i ricercatori canadesi hanno suggerito che i videogiochi appartenenti alla categoria menzionata poco fa, potrebbero rivelarsi utili nel prevenire gli effetti dell’invecchiamento del cervello.

Altri generi di giochi, invece, come quelli sparatutto (in questa categoria rientrano ad esempio le saghe di Call of Duty, Battlefield e Doom) stimolerebbero l’amigdala, regione celebrale deputata al mantenimento dell’attenzione e alla gestione delle emozioni.

Insomma, come si è appena visto, ogni genere videoludico, proponendo sistematicamente differenti tipi di azioni da compiere e situazioni da gestire, può agire su diverse regioni del cervello.

Anziani che giocano con videogiochi

Quali patologie psichiche e problemi psicologici possono beneficiare dei videogiochi come terapia?

Il trattamento di alcune patologie può trarre giovamento dai videogiochi utilizzati come terapia; a testimoniarlo è, ancora una volta, la letteratura scientifica. Si parte dai disturbi psichici e, in modo particolare, dalla depressione.

Una ricerca condotta da alcuni studiosi della East Carolina University ha dimostrato che i sintomi di quest’ultimo disturbo hanno sùbito una progressiva diminuzione nel periodo in cui i soggetti partecipanti  hanno giocato ad alcuni titoli, appartenenti alla categoria dei casual games (come Bejeweled e Peggle, Fruit Ninja, Angry Birds e molti altri titoli per smartphone e tablet).

In particolare, questi giochi sembrerebbero avere un’influenza positiva sull’umore e sui livelli di ansia degli individui presi a campione.

A supportare ulteriormente questa tesi è un’altra ricerca portata avanti dagli studiosi irlandesi della Science Foundation Ireland Research Centre for Software. Quest’ultima ha confermato, sostanzialmente, che videogiocare ha effetti positivi su depressione e disturbi di ansia, ma c’è di più: specifici generi videoludici sarebbero indicati per specifici tipi di disturbi psichici e problemi psicologici.

Per fare qualche ulteriore esempio, i titoli basati sulle componenti multigiocatore e i giochi di ruolo (questi ultimi sono rappresentati, ad esempio, dai giochi delle serie The Witcher, Dragon Age e Mass Effect) sembrerebbero aiutare maggiormente chi ha particolari difficoltà di socializzazione e chi tende all’isolamento.

Del resto, come visto in precedenza, i videogiochi multiplayer erano stati consigliati proprio dall’OMS per alleviare le conseguenze psicologiche dell’isolamento sociale.

I giochi strategici, invece, oltre a migliorare la flessibilità cognitiva, potrebbero rivelarsi utili nelle terapie rivolte a chi è affetto da dislessia. I titoli d’avventura (la saga di The Legend of Zelda e quelle di The Last of Us e Uncharted), potrebbero essere invece adatti all’anedonia, ossia il disturbo che annulla le sensazioni piacevoli scaturite solitamente da alcune attività. Mentre dai platform e dai tower defense (come Immortal Defense e Plants vs. Zombies) potrebbe trarre qualche beneficio chi soffre di disturbi d’ansia.

Infine, lo studio già citato dei ricercatori della Gregory West University di Montréal, ha evidenziato il fatto che i videogiochi platform, incrementando il volume della materia grigia, potrebbero essere utili nella prevenzione del morbo di Alzheimer dato che livelli ridotti della stessa tendono spesso a essere associati con l’insorgenza di questa patologia.

In sostanza, dunque, così come i diversi generi videoludici stimolano il cervello in modo differente, essi potrebbero anche essere diversificati in base alle patologie e ai disturbi ai quali sono indicati.

Fermo restando ovviamente che, nelle ricerche menzionate poc’anzi, i videogiochi sono proposti come possibili supporti alle terapie e non come alternative “fatte e finite” delle stesse e che un loro utilizzo incontrollato comporterebbe comunque effetti negativi.

Bambino che gioca con tablet

E per quanto riguarda le patologie organiche e funzionali?

I possibili sbocchi terapeutici per i videogiochi non si limitano alle patologie psichiche e ai problemi psicologici. Un articolo accademico del 2013, pubblicato nel Journal of Neurologic Physical Therapy, sostiene, infatti, che videogiocare potrebbe essere utile anche nella riabilitazione motoria a seguito di patologie (in modo particolare l’infarto) e traumi.

In modo particolare, i controller basati sui sensori di movimento (come quelli della console Wii di Nintendo o dell’accessorio PlayStation Move di Sony), possono essere utilizzati nell’ambito della riabilitazione; oltrettutto, meccaniche videoludiche basate sulla gamification, potrebbero fornire stimoli ed essere quindi motivanti per i pazienti.

Nell’articolo in oggetto, peraltro, viene sottolineato anche il fatto che le terapie riabilitative, per ciò che concerne i risultati, risentono spesso della scarsa motivazione dei pazienti.

La riabilitazione motoria tramite i videogiochi viene presentata come uno strumento “potenzialmente potente” e che la stessa potrebbe essere svolta sia sotto la supervisione di un fisioterapista qualificato, sia in solitaria, con programmi studiati appositamente.

Alcuni casi concreti di “videogiochi-terapia”

Esistono già alcune applicazioni pratiche e terapie nelle quali i videogiochi vengono consigliati come strumento di supporto? In questo caso, è bene citare la Video Game Therapy (V.G.T) ideata nel 2019 dallo psicologo e psicoterapeuta Francesco Bocci di Brescia.

Quest’ultima, grazie a modelli e tecniche consolidate in ambito psicoterapeutico, può essere applicata al trattamento della psicosi, dei disturbi dell’umore e di quelli riguardanti l’apprendimento nei bambini.

Nella Video Game Theray, i pazienti, singolarmente o in gruppi da due o da tre, si sottopongono a sessioni di gioco di mezz’ora e, successivamente, essi vengono supportati da uno specialista che li aiuta a rievocare e interpretare le sensazioni emerse durante la seduta.

Va comunque detto che questo approccio non è proposto come terapia a sé stante ma come supporto a un percorso di cura già intrapreso.

Va anche citato il caso di un corso di master, chiamato anch’esso Video Game Therapy, promosso dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia, che punta a illustrare le possibili applicazioni in ambito clinico e riabilitativo dei videogiochi (principalmente nei contesti di problemi psicologici).

Bambini che giocano con videogiochi

Sempre più videogiochi, console e controller in ospedali e strutture sanitarie che fanno terapia?

Quanto tempo passerà, dunque, ancora prima di vedere sempre più pazienti muniti di controller e visori per la realtà aumentata e prima di poter parlare in modo concreto di “videogiochi e terapia”? Probabilmente ancora un bel po’; anche perché, come visto negli esempi precedentemente citati, gli studi scientifici al riguardo sono ancora decisamente recenti.

Peraltro, gran parte delle ricerche si chiude con la stessa postilla: “ulteriori approfondimenti devono essere svolti per accertare in modo specifico e puntuale i benefici dei videogiochi su mente e corpo”. Insomma, le premesse ci sono già, ma mancano ancora molti “tasselli” al puzzle generale.

Certo è che, se fino a qualche tempo fa l’OMS aveva parlato dei videogiochi soltanto in termini di “dipendenza”, adesso la stessa organizzazione ha evidenziato gli aspetti utili e benefici degli stessi.

Alcuni ricercatori, come il già citato Dott. Marco Iosa, inoltre, hanno specificato che i maggiori benefici non si ottengono con i titoli in voga presso il grande pubblico (i grandi successi commerciali dalla grafica allettante) ma soprattutto tramite prodotti videoludici studiati appositamente per scopi riabilitativi.

Un esempio potrebbe essere quello del titolo EndeavorRx, un videogioco sviluppato appositamente per i bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni che soffrono di disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

Il gioco in questione è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e, a partire da giugno 2020, può essere prescritto come supporto nelle terapie basate già su farmaci o sedute di cura specifiche.

Bambino che gioca con console per videogiochi

Conclusioni

In questo articolo si è visto, in sostanza, che in base a quanto sostenuto dalla letteratura scientifica, i videogiochi sarebbero in grado di stimolare aree diverse del cervello, a seconda del genere preso in esame.

Analogamente a ciò, viene riportato anche come alcuni generi videoludici sarebbero indicati per offrire benefici nel trattamento di alcune patologie psichiche, organiche e funzionali e come esistano già alcuni approcci psicoterapeutici che prevedono l’uso dei videogiochi.

In tutti i casi, ad ogni modo, si tratta di supporti alle terapie “standard” e non di alternative di quest’ultime che devono comunque essere intraprese con il supporto di uno specialista senza tradursi in un semplice “giocare tutto il giorno”, onde evitare i problemi che da quest’ultimo modus operandi deriverebbero.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

Seguici su

Contattaci

Veracura Trust Onlus

CF/PI: 15759161001 - Salita Monte del Gallo 21, Roma, 00165

    Newsletter

    Rimani informato sulle novità di Veracura!​