Mettersi a disposizione, agire in prima persona sulle storture, stabilire un contatto con gli altri e con l’ambiente, esprimere gratitudine. Il termine “volontariato” innesca abitualmente queste e altre associazioni logiche analoghe nella mente.
Pagine della letteratura accademica recente, tuttavia, sembrano concordare su una tesi che ha poco a che fare con quanto accennato poc’anzi: il volontariato è in grado di agire come una sorta di “motore” per il benessere mentale e fisico.
Ebbene sì: la scienza sostiene, in sintesi, che tendere una mano verso il prossimo significa, al contempo, tendere la stessa mano verso sé stessi.
Nel corso dei prossimi paragrafi di questo articolo, dunque, esamineremo in dettaglio alcuni dati e le conclusioni che gli studiosi hanno tratto da questi ultimi, approfondendo l’argomento in oggetto.
Volontariato e benessere mentale e fisico: un toccasana per la psiche
Negli ultimi anni si è parlato di volontariato e benessere mentale e fisico sulla scia di apporti come quello intitolato “Is volunteering a public health intervention? A systematic review and meta-analysis of the health and survival of volunteers” dei ricercatori inglesi Suzanne Richards, Caroline Jenkinson e Andy Dickens.
La ricerca in questione, pubblicata nel 2013 su BMC Public Health, analizza le condizioni mentali e fisiche di alcuni volontari confrontando i risultati sperimentali di oltre quaranta ricerche compiute sugli stessi. Tale studio ha il merito, quindi, di evidenziare in modo sistematico e specifico gli effetti delle varie attività di volontariato compiute dalla popolazione presa a campione.
I parametri in esame consistono in livelli di depressione, ansia e soddisfazione generale della propria vita. Ciò che è emerso in modo lampante è che su dette componenti psicologiche il volontariato ha un’influenza positiva.
La ricerca ha mostrato come, generalmente, il rischio di incorrere in problematiche riconducibili a depressione e ansia sia nettamente inferiore per le persone impegnate in attività di volontariato rispetto a persone che non lo sono.
A detta dello studio, le dinamiche fisiologiche e i meccanismi causali che inducono il benessere psicologico per i volontari necessitano ricerche specifiche poiché ancora poco chiari.
Al di là delle presunte interazioni tra aree del cervello, sistema immunitario e metabolismo, ciò che è assodato è che, stando alle parole di Suzanne Richards, i volontari nel compiere le loro attività, sperimentano in primis il “ricevere nel dare”. In sostanza, pertanto, essi intendono il volontariato in termini di azione mutua e vicendevole più che unilaterale.
Restando in tema di psiche, è bene citare anche la ricerca degli americani Kevin Lanza, Ethan Hunt e Dale Mantey, pubblicata su JAMA Pediatrics nel 2023.
Quest’ultima si focalizza su 22.126 bambini (di età compresa tra 6 e 11 anni) e 29.769 adolescenti (tra 12 e 17 anni) e ha confermato quanto riportato nello studio precedentemente citato in merito a depressione e ansia. Inoltre, ci sono anche notevoli miglioramenti in ciò che concerne l’autostima, l’umore e le capacità empatiche.
Volontariato e benessere mentale e fisico: quanto conta l’età
Non mancano, poi, gli approfondimenti che testimoniano come il volontariato possa comportare benefici mentali anche per chi è più in là con gli anni.
Ciò è quanto si legge in un articolo del 2016 ad opera dei ricercatori Faiza Tabassum, John Mohan e Peter Smith e pubblicato su PubMed.
Questi ultimi hanno sottoposto vari questionari a un campione di 66.343 persone di età variabile e molti dei risultati più apprezzabili sono stati osservati nei partecipanti di età superiore ai 40 anni.
A partire da questa soglia, infatti, i livelli di benessere mentale sembrano essere notevoli per i volontari e si assestano su buoni valori man mano che si prendono in esame individui più anziani; tuttavia, a partire dai 70 anni, si osserva un nuovo considerevole incremento che continua a salire in modo direttamente proporzionale all’avanzare dell’età.
In questo tipo di popolazione, il volontariato e la componente sociale a esso correlata potrebbero agire come una sorta di “contrappeso” agli effetti negativi comportati dalle ridotte occasioni di interazione sociale.
A supporto di questa tesi è possibile citare anche lo studio di Katey Matthews e James Nazroo condotto su 3.740 pensionati. Anche in questo caso i benefici sulla psiche rispetto ai non-volontari nello stesso range di età sono apparsi in modo inequivocabile.
Oltretutto, è emerso anche che i livelli di benessere mentale (depressione e soddisfazione generale della propria vita) sono drasticamente calati negli individui che hanno interrotto l’impegno in attività di volontariato.
Dello stesso avviso è anche lo studio del 2019 del ricercatore Li-Hsuan Huang intitolato “Well-being and volunteering: Evidence from aging societies in Asia” che analizza i benefici psicologici del volontariato per gli anziani coreani, giapponesi e cinesi, prendendo in esame persone di età superiore ai 65 anni. Molti altri studi, altresì, evidenziano come le attività di volontariato comportino benefici soprattutto per chi ha un’età avanzata.
Volontariato e benessere mentale e fisico: una mano tesa al contempo verso due tipi di popolazione
Alla luce di ciò, andrebbero esaminati alcuni dati sull’età della popolazione italiana ed europea. Report recenti (febbraio 2023) indicano che quest’ultima, per quanto riguarda il nostro paese, è composta per il 23,8% da over 65; per quanto riguarda l’Europa, invece, la stima degli anziani si attesta al 21% della popolazione.
Un documento dell’Istat risalente al 2022 propone delle stime basate sulle attuali tendenze. Ebbene, nel 2050 gli over 65 dovrebbero equivalere al 34,9% dei residenti in Italia. Numeri impressionanti che si traducono, per forza di cose, in primis in costi enormi per il sistema sanitario.
In questa ottica, dunque, appare evidente la potenziale importanza che esperienze come quella del volontariato potrebbero rappresentare a livello sociale.
Insomma, il tutto sembrerebbe destinato a tradursi, a rigor di logica, in un sistema ideale per migliorare le condizioni psicologiche, fisiche e sociali di due differenti tipi di popolazione al contempo: da un lato gli anziani, in costante aumento e, dall’altro, i bisognosi, ossia i beneficiari delle varie attività di volontariato.
Volontariato e benessere mentale e fisico: il corpo
Si è parlato finora di volontariato e benessere mentale, ma la letteratura scientifica ha anche dedicato numerose pagine agli effetti positivi sul fisico di chi è impegnato in azioni di volontariato. Anche in questo caso possiamo citare lo studio di Lanza, Hunt e Mantey.
Nei bambini e negli adolescenti volontari presi in esame è emerso che, generalmente, i livelli di colesterolo sono bassi. Allo stesso modo, tendono a essere nella media anche il peso e i vari marcatori di infiammazione.
Gli stessi valori in bambini e adolescenti della stessa età che non praticano il volontariato sembrano invece più alti. Ancora una volta spiegare dal punto di vista fisiologico questi risultati è cosa piuttosto ostica: l’attività fisica e il contatto all’aria aperta correlati ad alcune attività di volontariato potrebbero essere sufficienti a spiegare il tutto, ma siamo ancora nell’ambito delle ipotesi.
I benefici continuano poi anche con ridotti livelli di ipertensione arteriosa; una condizione che consiste in livelli di pressione del sangue nelle vene superiori a quelli ritenuti “normali”.
Ciò è causa potenziale di diverse patologie cardiovascolari così come anche di insufficienza renale e problemi cognitivi. Queste ultime conclusioni sono state tratte dai ricercatori Jeffrey Burr, Jane Tavares e Jan Mutchler in un articolo accademico pubblicato nel 2010 su Sage Journals.
Un altro studio, ad opera di Rodlescia Sneed e Sheldon Cohen, fornisce più dettagli al riguardo: la pressione arteriosa risulta inferiore negli over 50 che hanno fatto volontariato per almeno 200 ore in 12 mesi rispetto ad altri adulti della stessa età non impegnati in attività analoghe.
Altre ricerche riportano che, oltre a ridurre le adiposità e i problemi di colesterolo, il volontariato contribuisce nell’abbassare i livelli di glucosio nel sangue e nel prevenire il rischio di sviluppare la sindrome metabolica, una condizione clinica che porta all’insorgere del diabete e di patologie dell’apparato circolatorio.
Infine, a supporto di quanto visto finora, è opportuno citare anche un’interessante ricerca pubblicata nel 2016 su PubMed che ha evidenziato il fatto che chi fa volontariato ricorre in media il 38% di volte in meno all’assistenza sanitaria e, in modo particolare, al ricovero presso strutture ospedaliere.
Insomma, un altro spunto di riflessione in ottica di politiche sociali e riduzione dei costi della sanità pubblica che andrebbe analizzato ulteriormente alla luce di quanto emerso in merito agli anziani che fanno volontariato.
Conclusioni
Quello che sostiene la scienza a proposito dell’impegno nelle attività di volontariato appare piuttosto chiaro. Queste ultime comportano benefici sulla mente dei volontari: ridotte sintomatologie riconducibili ad ansia e depressione; miglioramento di autostima, umore e capacità empatiche. Il tutto abbinato ad appagamento e soddisfazione generale.
Sul piano organico-funzionale, si sono riscontrati invece colesterolo, peso e marcatori di infiammazione ridotti e un rischio minore di incorrere in ipertensione e sindrome metabolica. Alle problematiche psichiche e organiche menzionate poc’anzi, in linea di massima, è più soggetta la popolazione a partire dai 65 anni di età in su; la stessa, che tra l’altro, sempre secondo gli studi, trae maggior beneficio dal volontariato.
Proprio alla luce di queste considerazioni, le attività che rientrano in quest’ultimo ambito risulterebbero particolarmente indicate per detta parte di popolazione, anche in ottica di riduzione dei costi della sanità pubblica e utilità sociale.