Come possono le aziende migliorare il mondo

Le aziende di oggi sono davvero capaci di cambiare il mondo? Di sicuro, molte realtà importanti, ma anche emergenti, fanno del loro meglio affinché questo avvenga.

In poche parole, ci credono!

Lo sviluppo di nuove tecnologie e l’attenzione ecologica sono dunque i contributi maggiori che le diverse imprese mettono in atto per partecipare, con il loro operato, al cambiamento della società e al miglioramento del mondo in cui viviamo.

Il ruolo delle imprese oggi

Open innovation, sharing economy, crowdsourcing: sono molti i trend che oggi ci ricordano quanto l’impresa non possa più ricoprire un mero ruolo economico, come attore che svolge la sua parte adattandosi allo scenario competitivo e al mercato.

Essa, infatti, sempre di più si configura come un’organizzazione aperta all’ecosistema in cui opera, che deve rispondere ad una forte domanda di cambiamento, espressa dai bisogni insoddisfatti o ipersoddisfatti che l’attuale fase storica sta portando a galla.

Il valore monetario, come obiettivo da perseguire, sta lasciando via via il posto al valore sociale, perché il ruolo dell’impresa non si esaurisce nelle funzioni di produzione di beni e di erogazione di servizi, ma va decisamente oltre.

Viviamo in un’epoca in cui le imprese hanno il dovere di farsi carico degli impatti ambientali, sociali ed economici generati dalla loro attività: il motivo di questo ampliamento di responsabilità dell’impresa, infatti, risiede nel riconoscimento dell’interrelazione tra la redditività di lungo periodo e il contesto socio-economico-ambientale in cui essa si trova.

Da questa idea si basa il concetto di sostenibilità d’impresa, che oggi è diventato uno dei termini fondamentali con cui si descrivono e differenziano le aziende in tutto il mondo.

Ma il riferimento alle sfide globali, rintracciabili nell’Agenda 2030 e dai correlati Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, non è importante soltanto per le grandi aziende con una forte presenza internazionale: la salvaguardia dell’ambiente, la lotta alla povertà e alla fame e lo sradicamento delle disuguaglianze sono temi fondamentali anche per le piccole imprese, che operano nel contesto nazionale o locale.

Ogni impresa, grande o piccola che sia, è inserita in un sistema sempre più globalizzato, che impatta e da cui viene impattata. E tutte le risorse che utilizza per svolgere la sua attività, in particolare quelle naturali, appartengono a un pianeta unico, che tutti, indistintamente, abbiamo l’obbligo di salvaguardare.

Il concetto di valore condiviso

valore condiviso

Era il 1970 quando, in un articolo del New York Times, Milton Friedman affermava che l’unica responsabilità in capo all’impresa era quella di massimizzare il profitto.

A distanza di 50 anni, una concezione del genere, in cui la dimensione etica quasi disturba lo sviluppo del business, appare quanto mai arcaica e datata.

L’attività dei manager e delle aziende oggi è più che mai attenta alle conseguenze sociali e ambientali del proprio operato: e proprio in un contesto del genere, si inserisce perfettamente il concetto di valore condiviso.

Ma cosa si intende, nello specifico?

Si tratta di un concetto che sta letteralmente rivoluzionando il panorama economico e sociale mondiale, tanto da influire anche sulla sfera ambientale.

In pratica, con valore condiviso si definisce la capacità delle aziende di far riavvicinare due mondi che, il più delle volte, hanno dimostrato una grave incapacità di comunicare tra loro in modo efficace: il business e la società.

Oggigiorno è difficile mostrare fiducia verso qualcuno o qualcosa; le buone azioni sono sempre giudicate con sospetto, mai disinteressate e, in tutto questo, la politica e il mondo degli affari hanno agito in modo tale da alimentare questo senso di diffidenza generalizzato.

Ma se una parte delle società odierne sta sviluppando, pericolosamente, atteggiamenti anti-scientifici e complottistici, le grandi aziende hanno compreso che forse esiste un’altra strada, cioè quella di creare opportunità e generare profitto senza sfruttare le persone e la natura e anzi, facendo esattamente il contrario.

È proprio su questo nesso che fa leva il valore condiviso, un concetto ideato nemmeno dieci anni fa da Mark Kramer, direttore del Foundation Strategy Group (FSG) e Michael Porter, economista e professore presso la Harvard Business School.

Quando si parla delle grandi sfide che l’umanità deve affrontare, come ad esempio quella del Climate change, si dà per scontato che la responsabilità di tutti i problemi del mondo in cui viviamo sia imputabile alle aziende, che puntualmente si trovano sotto accusa.

Ma non sarebbe più utile trovare soluzioni e collaborare?

Spesso ci sfugge il fatto che le aziende abbiano un ruolo fondamentale, anche in positivo! E in questo momento di grande transizione, è fondamentale comprendere che anche la transizione delle aziende richiede tempo e che la politica e la società civile, da sole, non possono trovare le soluzioni a tutto.

Bisogna essere critici, certo, ma anche realistici. Combattere contro il business sarà un inutile dispendio di energia: è importante lavorarci accanto, incoraggiare e sostenere con entusiasmo e sincerità tutti i progressi che esso è in grado di mettere in atto.

Dunque, risistemare il nodo che sembra essersi sciolto tra società civile e mondo degli affari è uno dei compiti del valore condiviso, ma non l’unico.

Tale approccio, infatti, mira alla valorizzazione di pratiche, territori e conoscenze, basandosi su un concetto fondamentale: così come non è possibile uno sviluppo economico in un pianeta spogliato di risorse naturali, così è impensabile l’idea di ottenere profitti in un contesto sociale completamente spaccato, stanco e deteriorato.

Non serve mettere una pezza laddove sono già stati fatti dei danni, attivando azioni che mirano solo a mitigare gli effetti negativi delle attività industriali; è necessario prevenirli, condividendo sin da subito i benefici di una determinata attività economica.

E in che modo il mondo corporate può risolvere i problemi sociali e trarre, allo stesso tempo, nuove opportunità?

Ad esempio, investendo nella formazione dei propri dipendenti o utilizzando le risorse naturali del territorio in modo sostenibile: solo così, infatti, si possono supportare le economie locali, rendere i servizi più accessibili e valorizzare alcuni aspetti del luogo in cui tali aziende operano.

Come si fa business per cambiare il mondo?

Gli imprenditori non sono tutti uguali: la vocazione di alcuni dipende dall’esigenza di migliorare la qualità della propria vita; quella di altri dal fascino del guadagno, senza limiti; altri ancora adocchiano l’opportunità di business che reputano irripetibile.

Tutte motivazioni molto valide e incontestabili, è vero. Ma ci sono volte in cui a muovere il genio imprenditoriale non è un obiettivo per così dire “arido”, bensì l’esigenza di generare un cambiamento, che possa in qualche modo avere effetti positivi anche sugli altri.

È proprio quest’ultimo il caso in cui si parla di impresa sociale e di Benefit corporation.

A differenza del pensare comune, sono sempre di più le persone che, ogni giorno, si chiedono in che modo possano cambiare il mondo, facendo impresa guardando all’interesse collettivo.

L’utilità sociale è il valore cardine non solo delle organizzazioni no profit, come Medici senza frontiere o Save The Children, ma anche delle attività a scopo di lucro. Ecco, quindi, che per valutare il successo di un’impresa sociale è utile analizzare le 3P:

  • Persone, cioè l’impatto sociale. In questo caso, si misura la capacità dell’impresa di creare al suo interno una comunità di persone, alle quali è in grado di cambiare la vita in modo positivo e sostenibile;
  • Pianeta, cioè l’impatto ambientale. Stavolta, invece, si misura la capacità dell’impresa di ridurre le emissioni di CO2 (sia sue che dei propri clienti), contribuendo alla creazione di un pianeta più sostenibile;
  • Profitto, cioè la necessità, come tutte le imprese tradizionali, di raggiungere un profitto tale da finanziare la propria attività e svilupparla.

Ecco allora che sempre di più stiamo assistendo a un cambio di rotta: sulla scena economica, finora comandata dal dogma del profitto, fioriscono aziende visionarie e idealiste, che si chiedono che valore possa avere un successo economico raggiunto a discapito di lavoratori senza futuro o di un pianeta che rischia di collassare sotto tonnellate di plastica.

Cosa sono le B Corp e la differenza con le Società Benefit

Aziende che hanno cominciato a domandarsi come migliorare il mondo e la vita delle persone con la loro attività: sono queste le Benefit Corporation, le imprese che hanno scelto di usare il business in modo positivo, a favore della società in cui operano.

Gli altissimi standard di performance sociale, ambientale ed economica sono il tratto distintivo di queste imprese, il cui valore creato per la società viene periodicamente monitorato e certificato da un ente indipendente internazionale chiamato B Lab, che in Italia ha assegnato il bollino di B Corp a quasi 100 aziende e più di 3000 in tutto il mondo.

Le Società benefit, invece, non sono altro che l’evoluzione virtuosa delle imprese a scopo di lucro: agli obiettivi di profitto se ne aggiungono altri, che mirano al beneficio comune e vengono raggiunti mediante azioni responsabili, sostenibili e trasparenti.

Dopo gli USA, l’Italia è stato il primo paese al mondo a introdurre nel 2016 la forma giuridica di società benefit: queste, a differenza delle B Corp che devono necessariamente certificare con l’ente terzo B Lab le proprie performance, si limitano ad autodichiararle.

Esempi di responsabilità sociale d’impresa

responsabilità sociale

Sono molte le forme attraverso le quali si presenta la responsabilità sociale d’impresa: le azioni messe in atto da multinazionali famose hanno una certa risonanza, anche a livello mediatico, ma pure la più piccola azienda può offrire un contributo importante per generare un cambiamento sociale che, insieme agli altri, fa davvero la differenza.

Ecco, quindi, alcuni esempi di responsabilità sociale attivabili tanto da aziende di fama mondiale come da start up:

  • Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra;
  • Partecipazione al commercio equo e solidale;
  • Miglioramento delle politiche di lavoro;
  • Politiche aziendali a beneficio dell’ambiente;
  • Investimenti socialmente rispettosi dell’ambiente;
  • Attività di volontariato nella comunità e beneficienza.

Le aziende, dunque, hanno un ruolo veramente determinante: non solo aiutano a creare fiducia in un cambiamento, ma lo incoraggiano, sensibilizzando le persone ad attuarlo.

Ogni sforzo portato avanti da una società, che sia internazionale o meno, può condurre a risultati significativi sui principali problemi che affliggono il mondo: dalla fame alla salute, fino al riscaldamento globale.

Ma quali sono i modelli più importanti di azienda sociale tra le aziende?

Google. Un marchio socialmente consapevole: Google green è l’iniziativa che ha visto ridurre i costi energetici fino al 50% nei loro data center, fin dal principio.

Il Reputation Institute ha attribuito a Google il punteggio più alto di CSR per i seguenti risultati:

  • Google ha destinato più di 1 miliardo di dollari a progetti di energia rinnovabile, utilizzandola dove possibile;
  • Google consente alle aziende di ridurre il proprio impatto ambientale attraverso l’utilizzo di Gmail;
  • Tra i suoi dipendenti, Google promuove la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti.

Target. Se Google è un colosso da cui prendere ispirazione, è bene pensare che è possibile applicare certe logiche anche in una scala più abbordabile, per dimostrare che laddove c’è la volontà, ci sono anche i risultati.

È proprio questo che ha fatto Target, il gigante della vendita al dettaglio, quando ha iniziato a contribuire allo sviluppo ambientale e sociale con i propri fondi.

Una partenza quasi sottovoce, quella di Target, che ha iniziato a destinare poco più del 5% delle sue entrate allo sviluppo delle comunità locali, per poi arrivare, nel 2018, a donare 900 milioni di dollari all’istruzione e più di 4 milioni di dollari a settimana a numerose altre cause.

BMW. Nel campo dell’industria automobilistica, BMW è assolutamente all’avanguardia nell’ambito di CSR innovativa.

Tutto è partito da quando la società stessa si è imposta di aiutare 1 milione di persone entro quest’anno, il 2020.

Il progetto sviluppo dell’educazione ambientale nelle scuole permette all’azienda stessa di raggiungere migliaia di studenti in tutto il mondo: l’obiettivo è quello di aiutarli a comprendere l’importanza delle sfide ambientali e sociali che il mondo è chiamato ad affrontare.

Xerox. Il Programma di Coinvolgimento della Comunità ha permesso a Xerox, con il tempo, di rendere partecipi tutti i suoi dipendenti a tale iniziativa, lanciata per la prima volta nel 1974.

Attraverso questo programma, infatti, essi hanno avuto l’opportunità di partecipare allo sviluppo delle proprie comunità e la stessa azienda ha messo da parte 1,3 milioni di dollari per garantire il successo dell’iniziativa.

Una scelta che, non soltanto ha avuto effetti più che positivi all’esterno, ma si è dimostrata rilevante anche internamente: l’orgoglio di lavorare per un’azienda tale è cresciuto insieme alla produttività dei dipendenti.

In generale, però, non serve spendere 1,3 milioni come Xerox o chiamarsi Google per mettere in atto gesti significativi: è sufficiente concedere al proprio personale un certo numero di ore l’anno da impiegare in aiuto alla comunità locale.

Si può iniziare anche da qualcosa di piccolo, facendo comunque tanto: pulire parchi, servire pasti alle mense dei poveri, fare volontariato negli ospedali o negli orfanotrofi, organizzare eventi di sensibilizzazione e raccolte fondi.

Si parte sempre dalle piccole cose per mettere in atto grandi cambiamenti.

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