Nel 2019, la second hand economy ha generato un valore di 24 miliardi di euro con una crescita costante del 33%. Le giovani famiglie, la Gen Z e i Baby Boomers si rivolgono al mercato dell’economia dell’usato e pongono maggiore attenzione al riuso, alla sostenibilità e al risparmio. Questo è ciò che emerge dalla sesta edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy, nonché uno studio condotto da BVA Doxa.
Si consideri che ogni anno vengono prodotti, indossati e gettati milioni di tonnellate di vestiti e in questo periodo di emergenza sanitaria da Covid-19, diventa sempre più importante reinventarsi e adottare comportamenti virtuosi. È possibile rompere i paradigmi dell’industria della moda, dando una nuova vita ai capi d’abbigliamento usati?
Sì e ce lo insegnano gli ideatori dell’e-commerce non-profit Clothest*.
Clothest* è un progetto nato dall’esigenza di apportare un cambiamento a favore del pianeta. L’idea è stata concepita nel 2015 da un gruppo di volontari della Casa Famiglia di Montevarchi, Francesco The S-Hope. Il gruppo di volontari del comune toscano ha raccolto circa 2400 capi usati, rivenduti in temporary shops e su eBay. Negli anni successivi, questo progetto ha attirato l’attenzione di alcune figure professionali intente a rafforzare le azioni a favore di questa nobile causa.
È così che Francesco The S-Hope è diventato Clothest*, il cui obiettivo è raccogliere e vendere abiti usati di lusso per sostenere e finanziare i progetti di assistenza della Casa Famiglia Caritas di Monteverchi.
Paolo Iabichino, direttore strategico e creativo del progetto, suggerisce che acquistare diventa un gesto che ha un valore sociale. L’acquisto di capi usati diventa veicolo di un cambiamento positivo che ha un forte impatto sociale e che promuove la cultura della sostenibilità.
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