Viviamo in una “Società della Performance” ?

Il termine performance deriva dal latino per “dare forma”, ed è stato usato per la prima volta dal filosofo francese Guy Debord nel suo libro “La società dello spettacolo” del 1967.

Secondo Debord, la società dello spettacolo è caratterizzata da una distorsione tra il mondo reale e il mondo immaginario, in cui le persone si identificano con le immagini prodotte dalla cultura di massa e si alienano dalla propria realtà. 

Nella società dello spettacolo i lavoratori vengono trasformati in consumatori: il tempo libero ha iniziato ad essere “colonizzato” dal consumo, dall’intrattenimento e dall’acquisto.

Nel libro edito Tlon “La società della performance”, i filosofi Maura Gancitano e Andrea Colamedici riprendono questa analisi e la applicano al contesto attuale, mostrando come la società dello spettacolo si sia evoluta in una più interattiva e permeante società della performance.

Cosa vuol dire “Società della Performance”?

Ogni persona con un profilo social è un brand, un progetto. Per far sì che un progetto rimanga in vita è necessario curarlo, e per far vivere il progetto del nostro profilo, della nostra immagine pubblica, è necessario condividere aspetti della nostra esistenza in modo costante.

Se non curiamo il nostro profilo muore la nostra immagine pubblica, ed è un po’ come se non esistessimo più.  Inoltre, la nostra immagine social è talmente importante che non la consideriamo più un nostro riflesso, ma un’immagine di noi da mantenere e – a volte – da raggiungere:

Non è più l’avatar a dover somigliare alla persona, ma la persona a dover essere all’altezza del proprio avatar. È l’identità reale a essere funzionale all’identità virtuale” (pp.16)

Per mantenere e curare la nostra immagine, mettiamo in atto delle performance continue. Ogni cosa sui social può diventare performance: un bel panorama, un piatto di pasta, le nostre relazioni interpersonali.

Così, secondo gli autori, il nostro lavoro diventa a tempo pieno: sui social vogliamo avere prestazioni sempre migliori perché è come se avessimo sempre davanti un pubblico pronto a giudicare positivamente o negativamente la nostra immagine social e  – implicitamente – giudicare noi stessi, che veniamo identificati con “il nostro avatar.

In sintesi, la società della performance è un concetto che descrive la condizione dell’uomo contemporaneo, in cui tutto può essere visto come una performance, ovvero una forma di espressione, comunicazione e narrazione. Si tratta di una società in cui la reputazione, la visibilità e il benessere sono i valori principali, e in cui le relazioni sono basate sull’interazione, l’opinione e l’esibizione

La società della performance è influenzata dalle tecnologie digitali, che rendono possibile creare e condividere contenuti in modo rapido ed immediato, ma anche generano una dipendenza dall’immagine virtuale e una perdita di senso critico.

Giovani che si scattano un selfie

Le Conseguenze della Società della Performance: 

Il mondo di tradizioni, riti, abitudini che è stato il fondamento della società negli ultimi secoli sta crollando per lasciare spazio ad un mondo fluido, più ricco di possibilità, ma senza bussole e punti di riferimento. Il futuro immaginato dalle generazioni passate era più chiaro, fondato su determinate tappe da affrontare nella vita. 

La nostra società sta vivendo un momento di cambiamento chiave, il passaggio a questa nuova “società della performance” ha delle conseguenze, ne possiamo citare alcune:

 

  • Alienazione:

L’alienazione si manifesta quando le persone si sentono isolate, insoddisfatte, frustrate o ansiose a causa della pressione sociale e delle aspettative irrealistiche che si impongono a se stesse.

Nel caso della società della performance, spazi pubblici e spazi privati vengono spesso confusi spesso provocando l’aderenza dell’identità privata con l’identità pubblica. Questo può provocare una progressiva perdita di senso e di autenticità della propria esistenza, ovvero può provocare alienazione.

Quindi, il motivo principale dell’alienazione sarebbe la più complessa distinzione tra spazio pubblico e spazio privato che si manifesta nella società attuale. Questo perché tendiamo a “proteggere il nostro spazio privato ma a esibirlo al tempo stesso” (pp.28)

 

  •  FOMO: 

La società che abitiamo è sempre più complessa: ci è richiesto di performare e quando non partecipiamo a questo rituale collettivo ci assale una strana forma d’ansia: la FOMO.

FOMO è l’acronimo di Fear of Missing Out, la paura di perdere occasioni e di rimanere esclusi da situazioni sociali. Ne parliamo meglio in questo articolo.

 

  •  Dipendenza da Smartphone e da Social Network

Come Narciso che si specchiava in una fonte e contemplava la propria bellezza, un utente su dieci tocca il proprio smartphone cinquemila volte al giorno: è chiaramente una storia d’amore.” (pp.30)

Questa frase è tra le prime pagine del libro. Ma più che di storia d’amore, sarebbe meglio parlare di dipendenza affettiva. Infatti, i social grazie a algoritmi sempre più sofisticati e utenti sempre più concentrati sulla propria immagine riescono a farci rimanere “incollati” allo schermo sempre più a lungo. Infatti stimolano la produzione di un ormone, la dopamina che ci fa provare una sensazione di benessere.  

Ci sono persone che soffrono di una vera e propria patologia legata alla paura di restare senza smartphone: la Nomofobia. Ne parliamo più approfonditamente in questo articolo.

 

Uomo che guarda icona social

  • Dipendenza dalla valutazione altrui

Gli autori sottolineano come la profezia di Andy Warhol del 1968 secondo la quale “nel futuro tutti potr

anno avere i propri 15 minuti di celebrità” si è avverata e non solo: tutti sono alla ricerca di questa celebri

Attendiamo con ansia like e commenti ai nostri post, alle nostre storie, alle nostre performance. Se non ci soddisfano ne è compromessa l’immagine che abbiamo di noi stessi. 

Inoltre, quello che accade su internet resta su internet: con un passo falso chiunque potrebbe essere vittima di “shitstorm”. Questo provoca grandi problemi legati all’autostima, soprattutto pensando agli adolescenti che sono in un periodo in cui il rapporto con gli altri è fondamentale per la creazione dell’ identità di ognuno e in cui si è più vulnerabili al cyberbullismo.

 

 

  • Cattiva gestione del tempo libero

Il nostro tempo libero, secondo gli autori non lo è realmente: più che una “libertà di” abbiamo a che fare con una “libertà tra”. Libertà tra prodotti da scegliere per passare il nostro tempo: film, serie tv, libri, fumetti, e anche social. Sono tutte merci, quindi il nostro orizzonte di libertà si basa su una serie di scelte di consumo che possiamo prendere. 

Inoltre, nella società della performance il nostro “obbligodi performare, spesso legato alla FOMO, ci porta a compiere azioni che non vorremmo: partecipare a eventi, decidere di andare in determinati luoghi solo per performare; perché dobbiamo portare avanti il nostro “progetto”.

 

L’Educazione alla Performance

Secondo gli autori l’educazione nella società della performance è anch’essa performativa. Siamo educati a lavorare tanto, ad essere sempre in competizione e se proviamo fastidio o disagio ci viene insegnato che è un nostro problema, segno di non essere in grado di stare al mondo. La società della performance è l’esaltazione universale della tecnica, del progresso e dell’efficacia, e questo si rispecchia nella nostra stessa educazione.

Storicamente l’insegnante era un vero e proprio educatore che non doveva tramandare solamente nozioni ma anche visioni del mondo, idee. Ora il lavoro dell’insegnante sembra essere circoscritto alla trasmissione di informazioni, non è più loro compito educare, ad esempio, alle relazioni, al rispetto della legalità, delle differenze di genere e di ogni diversità.

La visione del mondo attuale immagina l’educazione come uno strumento per produrre individui funzionali e produttivi e non persone integrate e consapevoli di sé, in grado di farsi domande. 

L’educazione è sempre più nozionistica, “l’insegnante deve offrire una performance senza mai uscire dalle direttive, e lo studente deve rispondere con un’altra performance senza mai offrire una risposta originale.” (pp.53)

 

Insegnanti parlano a degli alunni in classe

 

Nella società della performance gira tutto intorno ai talenti, ossia le abilità individuali che possono essere utilizzate all’interno dei settori produttivi e competitivi. Come conseguenza l’educazione si concentra sulla valorizzazione e sulla valutazione di queste abilità ignorando – secondo gli autori – la vocazione.

La vocazione è la voce interiore che ti indica in che modo usare i talenti. Ad esempio il talento per la matematica può essere messo a disposizione in numerosi campi disciplinari, anche nelle scienze sociali.

La società della performance ci spinge a “educarci”, a formarci in talenti sulla base delle richieste nel mercato del lavoro, in base alle esigenze di produttività, ignorando la vocazione che è, o almeno dovrebbe essere, la cosa più importante. 

“Focalizzarsi sul talento può essere fonte di insoddisfazione, sia che se ne possieda uno eccezionale, sia che non se ne abbia nessuno: sono caratteristiche che non dipendono da noi e che non influiscono sulla qualità della nostra vita.

Si può vivere infelicemente pur avendo un talento straordinario e si può vivere felicemente pur non avendo un talento particolare. È la vocazione a fare la differenza.”

Black Future Social Club: l’esperimento di Netflix tra presente e distopia

Per il lancio della quarta stagione della serie tv “Black Mirror” è stata ideata una campagna molto interessante: il Black Future Social Club, un ristorante esclusivo dove non si paga con carta o contanti ma con i like.

Infatti, la serie esplora le diverse sfaccettature che potrebbe assumere il futuro, remoto o prossimo, basandosi su fenomeni e abitudini del presente. Quale trovata pubblicitaria migliore che creare una simulazione di un possibile ristorante in cui la valuta è la pubblicità sui social?

Per entrare nell’esclusivo Black Future Social Club era necessario avere un minimo di mille followers. Gli organizzatori però hanno pensato a tutto: chi non aveva il minimo di follower richiesti poteva “fare l’elemosina” davanti al locale con cartelli del tipo “ho fame! seguimi su Instagram”.

Inoltre, una volta dentro iniziava la vera “performance”. Per cenare ogni cliente doveva postare una foto con il cibo ordinato, i piatti erano ordinabili sulla base dei like ricevuti e se non raggiungeva la quantità di like richiesta veniva fatto uscire dal ristorante. 

Un’ottima trovata pubblicitaria e un ottimo spunto di riflessione!

Riflessioni Finali

La società della performance non è di certo uno dei migliori mondi possibili, ma d’altra parte ci permette di: connetterci a più persone; condividere ciò che ci fa piacere; attuare un processo di democratizzazione della conoscenza; permette a ognuno di noi di reperire informazioni su eventi che non passerebbero dai media nazionali e locali.

L’analisi del presente non serve a nulla se ha come conseguenza la fuga dal mondo come è adesso, anzi. La conoscenza può darci degli strumenti per vivere al meglio i meccanismi della società senza finirci incastrati dentro.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

Seguici su

Contattaci

Veracura Trust Onlus

CF/PI: 15759161001 - Salita Monte del Gallo 21, Roma, 00165

    Newsletter

    Rimani informato sulle novità di Veracura!​