di Renata Metastasio (PhD), Ricercatore di Sociologia dei processi culturali, Docente del CdS di Psicologia della Comunicazione e del Marketing - Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza, Università degli studi di Roma
Cosa accade oggi, alla pubblicità, in questa fase complessa e per molti versi ancora molto incerta rispetto agli sviluppi futuri di molti settori economici a livello internazionale?
La pubblicità ha modificato negli anni le sue strategie di comunicazione, adeguandosi o, in alcuni casi, orientando i cambiamenti degli stili di vita dei potenziali consumatori.
Dagli anni ’80, nei quali la pubblicità ha rivestito un ruolo essenziale nel veicolare e rafforzare gli aspetti immateriali del consumo (espressione della soggettività, ricerca dell’eccellenza e del prestigio sociale) si è passati, negli anni ’90, ad un atteggiamento più selettivo ed esigente da parte del consumatore che ha adottato comportamenti improntati sul paradigma della moderazione.
Questa progressiva trasformazione della pubblicità si è completata nel nuovo millennio, che ha visto entrare i consumi in una fase recessiva a causa della crisi economica del 2011: è cambiato l’approccio al consumo, più ponderato e, probabilmente, meno condizionabile dalla pubblicità e più dai parametri della necessità, della qualità, e del prezzo.
Gli anni seguenti, con la sempre maggiore diffusione dei social media, hanno visto l’aumento gli scambi one-to-one e l’ampliarsi del “prosuming mediale”. Il ‘vecchio’ passa-parola è ritornato fondamentale nella formazione della decisione d’acquisto tramite la straordinaria diffusione capillare dei social network e di forme di marketing unconventional (guerriglia, ambush, ambient).
Tuttavia, marche e prodotti hanno prevalentemente comunicato attraverso messaggi lontani dalla rappresentazione di aspetti negativi, comunicando una realtà eufemizzata.

Questa modalità distorta di rappresentazione della realtà, fortemente caratterizzata dal riferimento ad un immaginario in cui ciò che è desiderabile viene esaltato e rappresentato come meta facilmente raggiungibile, ha ancora senso in un momento come quello che il mondo vive e ha vissuto? L’enfatizzazione di certi valori, riconducibili alla sfera dell’edonismo e del successo personale, è ancora pensabile? Dovranno le aziende rivedere le loro strategie di comunicazione e, se si, a quali valori dovranno fare riferimento per essere credibili e mantenere o costruire una relazione affettiva con i consumatori? E la pubblicità, oltre a “promuovere un bene e/o un servizio”, può, di fatto, contribuire a questo processo come co–costruttice del senso comune, attraverso la proposta di immagini con le quali le persone possano (o meglio vogliano) identificarsi?
Attualmente molte campagne hanno “riorientato” la comunicazione pubblicitaria, spostandola su universi simbolici che evocano i temi della ripartenza, della collaborazione, del sostegno a chi ha più bisogno, della solidarietà, della condivisione, dell’andràtuttobene…
Un caso esemplare è lo spot di Barilla #italiacheresiste, on air dai primi di aprile sulle principali emittenti tv nazionali, che si avvale della voce di Sofia Loren sulle celeberrime note riarrangiate per orchestra del brano Hymne di Vangelis. Le note sono le stesse della campagna lanciata nel 1985 da Young & Rubicam, con Gavino Sanna direttore creativo, con i celeberrimi spot da due minuti con il treno e con i soggetti subito successivi, in particolare quello della bambina sotto la pioggia, con l’impermeabile giallo, che tarda a rientrare a casa dopo la scuola per salvare un gattino.
Le immagini di posti e persone che oggi resistono si associano così nella mente dello spettatore di oggi e di ieri al claim storico dell’azienda, “Dove c’è Barilla, c’è casa”, nel momento in cui la casa rappresenta l’unico posto sicuro, anche se obbligato, per milioni di persone in Italia e nel mondo.