Il 2020 è stato un anno drammatico, e il Covid-19 non è l’unico responsabile. L’Istituto nazionale delle investigazioni spaziali (Inpe) ha annunciato la distruzione del secondo polmone verde del pianeta. Gli incendi in Brasile sono aumentati del 15,6% rispetto al 2019: la situazione è la più grave degli ultimi dieci anni, escludendo la deforestazione del 2015.
La questione, già preoccupante, è precipitata lo scorso gennaio con la presidenza Bolsonaro avviata nel 2018. Il leader di estrema destra ha infatti provocato un aumento notevole della deforestazione, dando il via a una serie di interventi di distruzione ambientale.
Perché?
All’origine delle sue decisioni ci sarebbe un interesse per lo sviluppo economico dell’Amazzonia, promosso però attraverso politiche favorevoli a una deforestazione indiscriminata. In particolare, il Presidente populista autorizza:
- Lo svolgimento di attività minerarie
- Lo sfruttamento del legno
- L’allevamento e la coltura di tipo intensivo
- L’operato di società che praticano deforestazione violando le norme in vigore
Le conseguenze economiche di queste politiche sono fatali, tanto che i paesi del G7, già nel 2019 avevano offerto aiuti economici al Brasile. Bolsonaro li ha respinti, insieme alle numerose critiche delle potenze occidentali, accusate di colonialismo.
Quali saranno le sorti dell’Amazzonia nessuno può dirlo, ma si può affermare con certezza che gli incendi stanno mettendo a repentaglio una delle risorse ambientali più importanti al mondo. La sopravvivenza dell’Amazzonia è necessaria per rispettare il giusto equilibrio di ossigeno nell’atmosfera. In altre parole, se viene minacciata la sua sopravvivenza, intervenire sui problemi climatici sarà una pratica da escludere.