Uno spazio potenzialmente illimitato poiché virtuale, familiare a tutti i membri di una comunità all’interno della quale ogni membro della stessa indossa una “maschera”, è libero di far sentire la propria voce ed esprimere liberamente opinioni, nel bene e nel male.
Quella appena proposta è indubbiamente una descrizione piuttosto insolita del medium videoludico; tuttavia, risulta perfettamente in linea con quanto suggerito da diversi casi di attivismo nel contesto dei videogiochi.
In questo articolo esamineremo alcuni eventi che hanno visto numerosi videogiocatori da tutto il mondo unirsi nelle piazze virtuali fatte di modelli poligonali rivestiti di texture dei loro titoli preferiti per appoggiare una causa, esprimere dissenso o creare vere e proprie iniziative di sensibilizzazione.
Al termine della disamina, inoltre, cercheremo di capire quali sono le caratteristiche del medium in oggetto che meglio si prestano ai fini attivistici, in modo da capire se, in futuro, le manifestazioni analizzate nel corso dei vari paragrafi potrebbero rivelarsi sempre più impattanti e meno rare.
Attivismo e videogiochi: Black Lives Matter in Animal Crossing
26 febbraio 2012, Sanford, Florida: la guardia di quartiere George Zimmerman uccide a colpi di arma da fuoco lo studente afroamericano Trayvon Martin, mentre quest’ultimo camminava lungo una strada della città, dopo essersi recato in un negozio.
All’indomani del tragico episodio, sulle bacheche dei social network americani rumoreggia l’hashtag #BlackLivesMatter che ha dato i natali al movimento omonimo. Orde di manifestanti hanno inneggiato alla causa di quest’ultimo, anche in occasione dell’omicidio di George Floyd, avvenuto il 25 maggio 2020 per mano dell’ex agente di polizia Darek Chauvin.
Si tratta di episodi entrati nelle pagine della cronaca nera recente e che costituiscono parte del background fatto di vicende relativo a una manifestazione che si è originata in modo spontaneo nell’universo virtuale di Animal Crossing, popolarissima saga videoludica pubblicata da Nintendo.
Nel gioco in questione, gli utenti hanno la possibilità di creare e condividere delle decorazioni per abbellire l’abitazione e il villaggio del proprio avatar virtuale.
Proprio a seguito dell’uccisione di Floyd, i giocatori di Animal Crossing: New Horizons (l’ultimo capitolo della serie in questione) hanno iniziato a realizzare varie creazioni tutte diverse tra loro ma unite da due caratteristiche: la frase “Black Lives Matter” e il tema cromatico nero.
Ogni creazione (poster, tappeti, quadri e così via) era associata a un codice identificativo numerico e, digitando quest’ultimo dopo aver effettuato la connessione a Internet sulla propria console, è possibile scaricare l’articolo scelto sulla propria copia di gioco e supportare in questo modo, seppur indirettamente, la stessa causa appoggiata da migliaia di manifestanti nelle piazze fisiche d’America e del resto del mondo.
Oltretutto, nel gioco in questione fino a otto giocatori hanno la possibilità di riunirsi nello spazio virtuale e interagire per mezzo dei propri avatar. Questa funzionalità è stata sfruttata, ad esempio, dagli utenti che hanno visitato il villaggio di Adelle, una programmatrice americana.
Gli avatar dei giocatori che si sono recati a far visita a quest’ultima hanno digitato più volte messaggi quali “No justice, no peace”, “Justice for Breonna” and “Defund the police” mentre visitavano il memoriale per i defunti afroamericani realizzato dalla programmatrice nel proprio villaggio videoludico.
Altri utenti, nello stesso periodo, hanno appoggiato la causa del movimento Black Lives Matter nei mondi virtuali multiplayer di Grand Theft Auto Online, World of Warcraft, Splatoon, ToonTown, Grand Theft e NBA 2K20.
Si è trattato di una presa di posizione netta e decisa da parte dei giocatori del mondo intero che, tra l’altro, in occasioni di queste “manifestazioni 2.0”, hanno anche protestato contro i publisher e gli sviluppatori dei loro videogiochi preferiti, colpevoli, secondo loro, di aver risposto troppo tiepidamente alle iniziative del movimento.

Attivismo e videogiochi: la protesta di Hong Kong in GTA
Di Grand Theft Auto (noto ai più come GTA), abbiamo avuto modo di parlare, in parte, anche nel nostro articolo sul tema dei videogiochi e della violenza. A detta di molti si tratta di una delle saghe videoludiche meno politicamente corrette della storia dei videogiochi.
L’ampia libertà di interazione tipica della fortunata serie di Rockstar Games ha fatto sì che, nel 2019, la componente multiplayer della stessa si trasformasse in un immenso campo di battaglia per i protestanti pro-democrazia di Hong Kong.
A dicembre del 2019, quando gli scontri per la libertà (contro l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale) si protraevano già da diversi mese per le strade di Hong Kong, altre strade, quelle virtuali della metropoli di Los Santos, sono state invase dagli avatar dei giocatori cinesi e dagli altri utenti che hanno appoggiato la causa dei “manifestanti videoludici”.
Gli avatar dei protagonisti si sono vestiti, in quell’occasione, di elmetti gialli, maschere antigas e abiti scuri; alla stregua di chi protestava fisicamente contro le imposizioni del governo cinese. L’iniziativa è stata organizzata da alcuni utenti di Weibo, uno dei social network più utilizzati in Cina.
Il 25 dicembre 2019, dunque, gli utenti che appoggiavano la causa dei manifestanti di Hong Kong hanno fatto scontrare i loro avatar contro altri utenti, della Cina continentale, che hanno agghindato i loro alter-ego virtuali come i poliziotti antisommossa governativi. Ne è originata una battaglia all’ultima granata virtuale. Una delle migliori mai viste sui popolatissimi server di GTA Online, a detta di molti giocatori.
Al di là delle vicende videoludiche e i fatti di gameplay, il messaggio che qui occorre sottolineare è quello esposto dal videogiocatore Mickey Chang di Hong Kong, intervistato da Repubblica all’epoca dell’evento organizzato su Grand Theft Auto Online: “Puoi arrivare ad affrontare gente dall’altra parte del mondo che magari non sa niente di quello che succede qui”.
Oltretutto, la manifestazione virtualmente violenta e, nei fatti, non violenta, ha notevolmente contribuito a calamitare i riflettori dell’opinione pubblica sulle vicissitudini di Hong Kong a lungo tacitate dai media di Pechino.

Attivismo e videogiochi: il Council on Gender Sensitivity and Behavioural Awareness in World of Warcraft
Non solo attivismo e proteste, ma anche sensibilizzazione: proprio a quest’ultima mira l’iniziativa messa a punto nel 2012 dall’artista e professoressa americana Angela Washko in World of Warcraft, uno dei più celebri e giocati MMORPG (acronimo di Massively Multiplayer Online Role-Playing Game, ossia videogiochi di ruolo interamente basati sulla componente multiplayer online).
Dopo diversi anni trascorsi nelle lande poligonali del gioco in oggetto, Washko decise di creare all’interno dello stesso il Council on Gender Sensitivity and Behavioural Awareness, uno spazio virtuale di discussione e scambio su tematiche femministe. L’iniziativa sfruttava a proprio vantaggio le caratteristiche del gioco: un mondo persistente sconfinato, liberamente esplorabile, in cui gli avatar dei giocatori possono interagire liberamente tra di loro per mezzo della connessione Internet e tramite vari tipi di chat e che costituiscono una vera e propria comunità (5,6 milioni di utenti attivi secondo le ultime stime).
L’obiettivo dell’iniziativa di Washko, nata come progetto di ricerca, era quello di coinvolgere il pubblico, prevalentemente maschile, del gioco e sensibilizzarlo in merito alle tematiche trattate. Si tratta di un tipo di utenza difficilmente raggiungibile con altre iniziative incentrate sulle tematiche in oggetto.
L’artista, nelle varie occasioni di incontro virtuale, ha posto ai giocatori varie domande su tematiche relative al femminismo e alla condizione delle donne nel mondo, organizzando il tutto come una sorta di gioco nel gioco. Dalle testimonianze raccolte, sono emersi punti di vista estremamente misogini e sessisti.
L’opera di Washko ha messo in risalto, oltretutto, concetti di “comunità” e “spazio pubblico” normalmente associati esclusivamente a realtà tangibili, non a quelle virtuali dei videogiochi.
Secondo la Washko, ormai, la distinzione classica tra “mondo fisico” reale e “mondo videoludico” virtuale è del tutto inconsistente e superata dato che, sul piano sociale, nei mondi di gioco online si verificano le stesse dinamiche sociali del “mondo fisico”. L’unica differenza è che, tuttavia, nel “mondo videoludico” l’utente è fortemente meno inibito nell’esprimersi, complice la barriera dello schermo e l’avere costantemente di fronte avatar in luogo di individui in carne e ossa.

Un potenziale attivismo 2.0?
Quelli appena citati sono soltanto alcuni esempi di una lunga lista di iniziative analoghe, sempre più ricorrenti a partire dai primi anni del duemila. Siamo di fronte, quindi, a una sorta di “attivismo digitale” che trova piena espressione nella natura sfaccettata del medium videoludico?
Da un certo punto di vista sembrerebbe così. Del resto, essendo l’attivismo profondamente dipendente dai media, sarebbe pressoché imprescindibile per esso il ricorso a uno dei medium che, attualmente, vanta una delle casse di risonanza più estesa a livello globale.
In uno scritto del 2023, Hugh Davies, ricercatore della RMIT University di Melbourne, presenta i videogiochi come mezzo adatto all’attivismo in quanto capace di “creare consapevolezza in merito alle ingiustizie, causare disagi a chi detiene il potere, invocare senso di comunità e solidarietà, fungere da piattaforma di comunicazione e organizzazione, fare da teatro di battaglia figurata e ampliare l’orizzonte per futuri di speranza”.
I videogiochi costituiscono un punto di incontro in un universo digitale parallelo aperto a tutti e nel quale tutti hanno la possibilità di interagire, alla stregua dei social network e delle piattaforme di videoconferenza.
Rispetto a queste ultime realtà, tuttavia, essi consentono, in molti casi, un’espressione di pensieri e idee più creativa, interattiva e vitale; come visto nel caso delle decorazioni create per omaggiare il movimento Black Lives Matter in Animal Crossing.
Oltretutto, i videogiochi, rispetto alle altre realtà digitali citate poc’anzi, rappresentano in molti casi una controparte piuttosto fedele di ciò che accade in molte manifestazioni e proteste di piazza, offrendo la possibilità di riprodurre in una sorta di mimesi le stesse: un gruppo di avatar si riunisce in uno spazio e manifesta un pensiero riportandolo in una chat pubblica o esprimendolo direttamente a voce, per mezzo della chat vocale.
Gli avatar possono compiere, inoltre, in diversi videogiochi, molte delle azioni che compiono i manifestanti in carne e ossa: sfilare in marcia, riunirsi in coreografie, indossare outfit specifici e altro ancora.
In questo caso, la realtà dei videogiochi come mezzo di attivismo è da intendere come proiezione e continuazione ideale delle manifestazioni e delle proteste compiute fisicamente, nelle piazze fisiche del mondo. In alcuni casi, come quello, del lockdown, i videogiochi assurgono perfino al ruolo di surrogato della realtà di piazza tipica dell’attivismo.
In questo tipo di mondo alternativo è possibile praticare forme di attivismo non consentite nelle piazze fisiche del mondo tangibile. L’altra faccia della medaglia, in questo senso, è costituita dalla riduzione dell’inibizione costituita dal nascondersi dietro uno schermo.
Non mancano, infatti, episodi come quello del movimento noto come Gamergate, che ha preso forma da parte della comunità del videogioco Depression Quest, e che nel 2014 ha dato origine a una campagna sessista e diffamatoria che si è accanito contro un presunto femminismo diffuso nel mondo dello sviluppo videoludico.

Conclusioni
In questo articolo abbiamo visto, sostanzialmente, come i videogiochi (in particolare quelli caratterizzate da dinamiche sandbox e open world, che non pongono un obiettivo preciso ai giocatori) potrebbero rivelarsi come uno degli strumenti più adatti a perpetrare le dinamiche attiviste nel contesto digitale. L’iniziativa nata spontaneamente dal volere dei videogiocatori di Animal Crossing ha messo in risalto il potere coinvolgente, creativo e originale delle manifestazioni videoludiche.
Queste ultime, possono configurarsi anche come veri e propri scontri figurati, come nel caso dei protestanti di Hong Kong che si sono scontrati virtualmente in GTA Online contro chi appoggiava la posizione del governo cinese, dando luogo a una sorta di “battaglia catartica”.
L’esperimento sociale dell’artista americana Angela Washko ha poi fatto emergere che le iniziative di sensibilizzazione, nate sui server videoludici online (ad esempio quelli di World of Warcraft), sono in grado di raggiungere un tipo di pubblico normalmente precluso ad iniziative “fisiche” che trattano determinate tematiche.